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CGCReviews: KILL KNIGHT

Stylish in isometria.

KILL KNIGHT

KILL KNIGHT, è l’ultima sorpresa sviluppata e pubblicata dal team australiano PlaySide Studios, ed è ora disponibile su PS5, PS4, Xbox Series, Xbox One, Switch e PC (Steam) dal 3 Ottobre.

Aspettando il loro Mouse, che fin da subito aveva catturato l’attenzione dell’Internet grazie a questa commistione di stili, tra il cartoon in bianco e nero degli anni ’30-’40 e la visuale in prima persona alla Doom, PlaySide sta dimostrando di muoversi in uno spazio creativo libero da schemi. Per dire, anche Age of Darkness: Final Stand, è uno strategico in tempo reale con echi da horde-defense alla They Are Billions. Per proseguire ed arrivare a ciò che è di nostro interesse in questa recensione, KILL KNIGHT: shooter isometrico cementato dalla frenesia e da uno spirito infernale Eldritchiano, che insegna a muoversi con ordine nel disordine, tirando fuori dal giocatore, volente o nolente e dopo diversi tentativi, una determinazione fremente.

KILL KNIGHT, coraggiosamente non allineato alla formula roguelike, o survivor-like, e con una sua direzione centrata sul richiedere abilità e maestria, piuttosto che dipendere da build e potenziamenti casuali. Nato quindi da una costola di PlaySide Studios, Team Phoenix (questo era il nome in codice esatto del team interno addetto alla realizzazione del titolo) dichiarò di avere avuto la fortuna di creare il gioco a cui aveva sempre desiderato giocare; Qualcosa di entusiasmante, qualcosa che avrebbe avuto un impatto… E quando il desiderio riceve supporto concreto per poter essere realizzato, non si può fare a meno di esserne contenti anche come fruitori.

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La discesa nell’Abisso

KILL KNIGHT non ha bisogno di dirlo. KILL KNIGHT dimostra fin da subito che stai giocando qualcosa concepito da chi ama titoli come Nex Machina, Nuclear Throne, Enter The Gungeon, Helldivers, Hotline Miami, Redemeer e Ruiner. E questo riguardo alle sole influenze da Top-Down Shooter. A seguire, si sentono subito il Doom di Bethesda e Returnal, per quanto riguarda le atmosfere e il sound design. Il tutto è impacchettato in una veste poligonale old school retrò era PS2. Ma cosa c’è prima di calarsi nell’Abisso per uccidere demoni? Brevemente ci viene detto che un tempo esisteva un cavaliere leale, tradito e bandito poi nell’Abisso.

Abbandonati da un ordine di cavalieri celesti, veniamo esiliati all’interno di un’armatura destinata a rianimarsi a ogni morte, per un loop di sofferenza eterna. Macchiati come il cavaliere uccisore, non ci rimane che trovare redenzione attraverso l’uccisione dell’ultimo cavaliere angelo. Per farlo, si dovranno superare cinque livelli a difficoltà incrementale. Immaginate un mix tra i film The Platform e Cube. Ogni livello è strutturato da un tipo di pavimentazione che si modula in tempo reale. L’arena si evolve con conformazioni destinate a sporcare il movimento, aggiungendo pericoli come griglie laser o totem esplosivi. Il terreno è così qualcosa che cambia di forma ed estensione, passando da momenti in cui si può combattere in aree distese ad altre più ristrette.

Lo stile va perseguito anche attraverso sfide specifiche del livello che si sta affrontando. Ad esempio: completare una combo di 999 uccisioni. Il successo in questa sfida permette di sbloccare un nuovo equipaggiamento, come armi o corazze, che non rappresentano necessariamente un miglioramento, ma piuttosto un’alternativa che diversificherà il vostro stile. Tutto questo con l’obiettivo, però, non solo di superare il livello, come in un gioco con una progressione lineare, ma di farlo nel modo migliore possibile (come vorrebbe un gioco basato sui punteggi). Osservando un pattern generale da individuare, studiare e aggredire, piuttosto che esserne aggrediti. Ma per fare questo occorre imparare; E dove si può imparare in KILL KNIGHT? Beh, NON ignorate il Tutorial.

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Un Tutorial per domarli tutti

Guardando un video non ci si può fare un’idea, perché non c’è corrispondenza con lo schema dei comandi. “I veri cavalieri usano il controller“. Questo è il monito che ci da KILL KNIGHT al suo avvio.
In linea di massima, le azioni sono riassumibili in: Sparo, Corpo a corpo, Schivata, Assorbimento, Sparo pesante, Ultimate (e Parry). Da ciò apprendiamo che non si tratta di un semplice spara-schiva-spara, ma il gioco è concepito con più azioni del solito per essere un twin-stick shooter tradizionale. Tutto questo costituisce un sistema di combattimento profondo, talvolta, anche ostico da padroneggiare (specie nelle prime ore di rodaggio).

Ogni uccisione concede la possibilità di raccogliere delle gocce rosse da terra (praticamente identiche a quelle di Devil May Cry). La raccolta di queste permetterà di riempire una barra, aumentando velocità e potenza d’attacco del Cavaliere. In alternativa, si può usare l’abilità “assorbire” per attirarle a sé e aggiungerle a un’altra barra: quella dell’attacco speciale. Questo passaggio è già cruciale, perché significa pensare costantemente, nell’adrenalina del combattimento, ad assorbire in pochi istanti tutto ciò che si trova sul terreno e valutare se si preferisce prediligere uno stile di gioco più “controllato” ma avvantaggiato da un moltiplicatore statistico, oppure uno che permetta di esplodere colpi speciali in maggior frequenza.

Questo sistema, per fortuna, non si applica troppo rigidamente, anzi. Ho visto che, anche senza badare troppo al dualismo “raccolta o assorbimento“, si riesce comunque a sfruttare appieno tutta la potenza del protagonista. L’importante è rimanere al passo della velocità del gameplay. Per dire, al gioco non interessa nemmeno se si viene colpiti. Non è quel genere di Stylish game che fa decadere tutto il punteggio se si riceve un colpo. In KILL KNIGHT diciamo che, finché si ha salute, il gioco non vuole spezzare l’attenzione del giocatore. Si prosegue finché si riesce a mantenere la catena d’uccisioni attiva.

Questo sistema prende somiglianza un po’ da Doom Eternal, per cercare d’imparare (e rispettare), una concatenazione di azioni: una volta terminato il caricatore dell’arma principale s’innesca automaticamente una ricarica attiva alla Gears of War, che porta a due output diversi. Ripremendo lo stesso tasto nel giusto spazio si ricarica immediatamente l’arma con colpi maggiorati nel danno. Ma se invece si decide di premere il tasto dell’attacco corpo a corpo, si ricaricano le munizioni per l’arma pesante. Oppure, terza possibilità, vi ricordate quell’abilità assorbimento istantaneo che vi menzionavo prima? Ecco, anche quest’azione è selezionabile dopo una ricarica. In pratica, tutte le vostre azioni andranno a collocarsi in questo momento. Per questo, ne risulterà una sorta di danza coordinata.

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La gestione dei tasti

Continuando quanto detto fin ora, il discorso tasti non si esaurisce soltanto a quelli per attaccare. Il layout di default sfrutta tutti e quattro i pulsanti/grilletti dorsali, ma di mezzo c’è anche la schivata. Questo comporta il far abituare il cervello a tre tasti su quattro da usare in continuazione per le meccaniche di combattimento e uno per il movimento. Con tutta quella caoticità, può risultare faticoso abituarsi a questo schema, che rischia di scoraggiare da subito. L’ideale sarebbe poter rimappare il tiro semplicemente muovendo la levetta destra. In questo modo si può giocare efficacemente con i pollici sulle levette, un dito che copre RT/RB e un altro per LT/LB, diventando così un twin-stick shooter a tutti gli effetti.

E il corpo a corpo? Posto sulla X del Pad Xbox, non ha la stessa importanza dello sparo. L’attacco corpo a corpo non risulta così efficace e soffre di un numero sufficiente di frame di recupero da esporre facilmente il Cavaliere agli attacchi nemici. Il momento migliore per usarlo sarebbe contro alcuni demoni di grossa taglia che possono eseguire attacchi debitamente pre-segnalati da poter essere parati. Questa parata permette inoltre di eseguire un contrattacco che cambia il filtro di colori dell’intera schermata. Da questo momento, per qualche secondo, il tempo scorrerà a rallentatore, permettendo così di concentrarsi meglio sul da farsi. Insomma, tanti, tantissimi tasti per fare altrettante cose.

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Design infernali

Direi basta parlare dei comandi e dedichiamo qualche riga alla realizzazione artistica. KILL KNIGHT è caratterizzato da una palette cromatica tendente maggiormente al rosso, il quale trova contrasto praticamente solo con le aree più scure delle ombre e delle superfici monolitiche. I colpi si distinguono bene e gli attacchi più potenti sono indicati con un viola tutto al neon che spicca immediatamente su tutto il resto. Le creature sono per lo più aracniformi, ma man mano che compaiono le più impegnative, queste si riconoscono per design più grandi e particolari, come il Quaker III o il Ghast III.

Ognuno concepito con un proprio profilo d’attacco: alcuni presseranno velocemente il Cavaliere in corpo a corpo, altri manterranno le distanze per colpirvi con attacchi laser di ogni tipo. Il sonoro di KILL KNIGHT, anche qui come il Doom di Bethesda, è funzionale all’esperienza di gioco. I suoni sono strettamente legati a ciò che accade a schermo. La ricarica è scandita da un preciso effetto simile a un boato di stampo elettronico dubstep, mentre venendo colpiti si può ascoltare una distorsione che rimanda ovviamente all’errore. Lo stimolo audio-visivo si arricchisce così man mano che si riesce a resistere, permettendoci di abituarci gradualmente all’estrema intensità dell’esperienza di gioco, in media tarata sulla decina di minuti a partita.

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Ancora una…

Possono esserci tanti giochi d’azione isometrica, ma pochi riescono a rapirti come quei 10 minuti di partita a KILL KNIGHT. Si potrebbe definire, infatti, una “droga in pillole” che concentra una grande quantità di attenzione in un breve lasso di tempo. Paura della longevità perché le arene sono solo cinque e le partite durano poco? Non preoccupatevi poiché, per il completamento di una, occorre sudare veramente per capirne la difficoltà. Inoltre, le Sfide interne sono parte integrante del gioco se si vuole esplorarne a pieno i suoi solidi e vari contenuti.

Certo, è qualcosa che può sembrare accattivante sulla carta, ma è tremendamente complicato nell’esecuzione. Padroneggiare le meccaniche è ciò che occorre per cominciare a giocare realmente a KILL KNIGHT, perciò se siete i “giocatori della mezz’ora” approcciatevi con cautela a questo titolo. Personalmente, ho trovato soddisfazione imparare dalla sconfitta, e in questo ci ho sentito qualcosa di “souls-likeiano” unito a quel minimalismo anni Novanta, ma una volta scollinato quel sentiero di difficoltà, vorrete sicuramente vedere dove va a finire. Forse non il GOTY dell’anno, ma il GOTY del suo genere è suo.


8.5

Voto CGC

Recensione KILL KNIGHT

Possono esserci tanti giochi d’azione isometrica, ma pochi riescono a rapirti come quei 10 minuti di partita a KILL KNIGHT; Forse non il GOTY dell’anno, ma il GOTY del suo genere è suo.

La recensione è stata eseguita tramite Codice Review fornito dal Publisher/Sviluppatore/Agenzia PR/Distributore.

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Alessandro Da Campo

Recensore di CrazyGameCommunity.it.

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