RecensioniTOP

CGCReviews: Atomic Heart

Un anno dopo.

Atomic Heart

Atomic Heart, sviluppato da Mundfish e pubblicato da Focus Entertainment, è attualmente disponibile su PS5, PS4, Xbox Series, Xbox One e PC (Steam / Microsoft Store).

Ricordo che feci la mia conoscenza di Atomic Heart poco prima della sua uscita. Credo fosse fine 2022, e vidi solamente alcuni screenshot di gioco che abbozzavano il gameplay e l’ambientazione. Da lì, passai a vedere il team di sviluppo, e mi si formò il pregiudizio di un gioco troppo ambizioso per le possibilità di un team esordiente. “Verrà fuori l’ennesimo FPS un po’ legnoso, e penalizzato nell’ottimizzazione a causa di un Unreal Engine 4 messo lì per comodità“.

Non era neanche facile farsi conoscere per un gioco come Atomic Heart quando sulla tua stessa scia di lancio hai un giochino chiamato Hogwarts Legacy. Poi, però, la vera magia la fece proprio Atomic Heart, pubblicando uno spot geniale con Jensen Ackles, nei panni del Maggiore Alekseyevich Nechayev, in cui lo si vedeva tranquillizzare un’impotente maghetta contro uno dei robot manichini del gioco. Così facendo, ci veniva presentata l’idea di un videogame che sapeva stare al gioco e, al contempo, dimostrava di fare sul serio. Il gioco infine esce, e c’è un responso dalla critica un po’ tiepidino, ma su Steam si arriva a superare come vendite lo stesso Hogwarts Legacy e Counter-Strike: Global Offensive. Come mai?

CGCReviews: Atomic Heart 1

FATTA LA PRIMA ORA

Atomic Heart cala il giocatore attraverso un lungo prologo in cui non si presta attenzione all’apprendimento di comandi e meccaniche, ma si elabora un ucronico 1955 in cui la Russia gode del primato bellico e tecnologico a livello mondiale. Inizialmente ci accorgiamo non solo che il protagonista Sergei “P-3” Nachaev (per gli amici facciamo solo P-3) dialoga con un’IA installata al suo interno, Charles, ma che il resto della popolazione pare essere integrata perfettamente con la convivenza dei robot.Si sta festeggiando qualcosa: la storia di Atomic Heart parte proprio da questo, perché gli umani verranno connessi per la prima volta a livello neurale ai robot, avvicinando ulteriormente il legame uomo-macchina… ma sappiamo come vanno a finire queste cose.

I robot, nel mondo di Atomic Heart, dispongono di uno sviluppo tecnologico davvero notevole: vengono utilizzati per le faccende quotidiane anche più semplici, mentre ve ne sono anche di più imponenti per svolgere incarichi più complessi e faticosi. A quanto pare, tutto questo è reso possibile da una particolare lavorazione del metallo, qui chiamato polimero, il quale, a seguito di un ulteriore miglioramento, arriva a diventare un neuro-polimero! Ovvero, qualcosa in grado di trasformare l’input cerebrale in qualcos’altro di fisico.

Senza complicare ulteriormente la spiegazione, il giocatore si renderà presto conto come il clima festoso di questo importante evento celi qualcosa di decisamente più grottesco. Perché, se ormai c’è una cosa che ci hanno insegnato nel 2024 tanti film o videogiochi, è che uomini e macchine devono rimanere il più possibile separati… ma non lo potevano sapere nel 1955.

CGCReviews: Atomic Heart 2

UN WORLD BUILDING UNICO

Terminato il prologo, ci si ritrova a giocare la prima porzione di gioco (open-map) in un enorme complesso, la struttura 3826. Qui, in realtà, è dove comincia il vero tutorial per assimilare e familiarizzare con le meccaniche di gioco. Atomic Heart si potrebbe definire come un immersive-sim che cerca di spingere il più possibile sulla componente action. Quell’action, anche a detta dallo stesso studio Mundfish, viene ispirata dai Doom di Bethesda. Non a caso, infatti, viene nominato a capo della colonna sonora, il maestro compositore Mick Gordon: un professionista a cui il rilancio d’immagine di Doom deve molto grazie alle sue musiche che hanno aiutato a definire l’anima del gioco.

La Russia distopica fa pensare spesso a una versione alternativa di Wolfenstein: The New Order, dove al posto dei nazisti troviamo i sovietici. C’è tanto ovviamente anche di Bioshock, con quel gameplay alternato tra armi e poteri elementali. Non manca di trovarci persino Fallout, dato che quando abbandoneremo finalmente la struttura 3826 scopriremo un mondo quasi tornato al suo stato naturale, a causa della quasi totale estinzione dell’umanità. C’è persino quel crafting un po’ retro-futuristico di Prey. Ma può Atomic Heart, pur prendendo spunto da così tanti titoli famosi, definirsi originale? La risposta è: sì, certo.

Atomic Heart è un titolo che coinvolge e si dimostra all’altezza degli altri giochi sopracitati, in quanto sa osservarne le componenti che funzionano, e le rilancia in modo assolutamente autoriale (essendo un’opera prima) in qualcosa di memorabile. Esplorare Atomic Heart ne fa scoprire la sua profondità in termini di spessore creativo. Ci si accorge che l’ambiente circostante ha avuto un suo vissuto. Si percepisce che le cose funzionavano in un certo modo, e che è possibile ricostruire le fondamenta di una società che sembra realmente esistita.

È un mondo così eterogeneo che non si faticherebbe a trasporre su un libro per catalogarne i vari aspetti. Con il proseguire della storia si approfondiranno anche temi che non riguarderanno la storia principale, ma la arricchiranno, come ad esempio l’ambizione verso lo spazio, la censura, l’arte, la cucina, l’economia e la cultura. Dal punto di vista del world building, quindi, Atomic Heart si può dire come una delle opere più sorprendenti degli ultimi anni. Sicuramente l’aspetto migliore, di cui ne rivendico ancora l’ingiustificata assenza dai The Game Awards 2023.

CGCReviews: Atomic Heart 3

IMMERSIVE OPEN-WORLD

Come dicevamo nel paragrafo precedente, nella struttura 3826 si apprendono le fondamenta del gioco. Nel corso di questa sessione, Atomic Heart fa capire che: un po’ ti fa sparare, un po’ ti sfida col platform, e infine ti fa studiare anche qualche puzzle. Forse, mentre ci si ritrova in questa fase, seppur nelle intenzioni voglia essere introduttiva, ci si ritrova abbastanza spaesati proprio nell’orientamento. Quasi involontariamente si ha la sensazione di un survival-game che ti fa dire “Dove vado? Cosa faccio? Come funzionano questi equipaggiamenti?” Un’esperienza che sicuramente da una parte rende felici, perché non si percepisce come scriptata, ma dall’altra necessitava di qualche coordinata più esplicita per guidare il giocatore ad un apprendimento più ordinato ai sistemi.

Dopo qualche ora di rodaggio, comunque, si capisce il peso di Atomic Heart, ed è già possibile sentirsi pienamente coinvolti nel gameplay. A questo punto, si assapora pienamente il senso di scoperta, e passare da un’area all’altra diventa più scorrevole. Poi cosa succede? Succede che, quando ormai dai per scontato di trovarti in un’avventura lineare, il gioco rompe i suoi stessi schemi, trasformandosi da Open-Map ad Open-World. Qui un po’ ritorna quella sensazione di spaesamento del prologo. Certo, questa volta sarete indubbiamente più preparati, ma le avversità si pongono su scala più grande. Ad esempio, la minaccia nemica questa volta diventa persistente.

Grazie (o a causa) a strutture presenti sul territorio, i nemici verranno costantemente rigenerati, obbligando il giocatore ad assumere quasi un profilo stealth per evitare continuamente lo scontro. Questo momento rappresenta un po’ uno shock per il giocatore, che può faticare a metabolizzare questa nuova meccanica arrivata dopo, quando ormai sembra essersi assimilata per intero la struttura di Atomic Heart. L’Open World, di cui io personalmente ho avuto un’indigestione negli ultimi anni, non l’ho trovata una scelta forzata per omologarsi al tipico AAA di tendenza. Non c’è una programmaticità che faccia sentire in colpa il giocatore se non dovesse raccogliere i collezionabili, completare le missioni secondarie e trovare i diari della lore, prima di andare avanti.

Il gioco, coerentemente con quanto già mostrava nel segmento iniziale, continua a mantenere la sua natura ben bilanciata nell’esplorazione, conservando un’informativa ostile al giocatore ma, allo stesso tempo, diversificando i raccordi tra le varie aree. A distanza di oltre un anno, ricordo ancora molto vivamente alcune porzioni di gioco che non sembrano riempitive di “spazi da riempire”, ma tutte le zone hanno sempre una realizzazione molto curata, anche in quelle in cui potresti non necessariamente passare.

CGCReviews: Atomic Heart 4

ARMI, POTERI, P-3.

Lo shooting negli immersive-sim si sa, è quel lato che fa sempre un po’ fatica ad emergere. Anche capolavori come Bioshock, System Shock o Prey, non hanno mai brillato se paragonati a veri e propri shooter di razza come potevano essere un Quake o un Crysis. Mundfish questo lo sapeva e, infatti, ha cercato di dare il massimo, a partire dall’inserire la possibilità di un dash multidirezionale per dare più dinamismo sia per le schivate di proiettili, sia per scontri più fisici.

In generale, le armi, divise tra armi bianche e a lungo raggio, riprendono in alcuni casi le forme di alcune già conosciute come l’iconico AK-47. Altre, invece, sono completamente originali. Non sono moltissime, ma ognuna garantisce una certa versatilità in termini di efficienza, in quanto si possono modificare attraverso dei progetti che si possono trovare nella mappa di gioco. Buona anche la resa dei corpi nemici che, subendo i colpi, si possono notare i danneggiamenti dei tessuti, mostrando circuiti e parti robotiche esposte. Colpi che si fanno sentire negli impatti, sbilanciando e sbalzando bene i nemici, grazie ad un’ottima gestione della fisica di gioco.

Se comunque la componente shooting non vi dovesse bastare, ci pensa a venire in vostro soccorso anche una parte di poteri scaturiti dal guanto sulla mano sinistra. Questi, a mio parere e a differenza già di come faceva più saggiamente un Bioshock, vengono messi a disposizione senza essere valorizzati più di tanto. Puoi usarli, ma non senti la necessità di farlo. Mentre in Bioshock erano anche funzionali alla progressione di gioco, qui vogliono essere più un’integrazione alla potenza di fuoco. Se il giocatore avesse la voglia di scoprire in maniera un po’ autodidatta come potrebbero funzionare in eventuali build, si farebbero piacevoli scoperte. L’unico problema, anche qui, è che Atomic Heart fatica a comunicarlo.

Riguardo al protagonista, P-3, l’ho trovato un personaggio che, se potessi formare una squadra di persone simili a lui, lo metterei insieme a Crane di Dying Light e a Deacon St. John di Days Gone. P-3 è un personaggio che perde le staffe molto facilmente e rende isterica qualsiasi tipo di conversazione. Un elemento che personalmente ho trovato in contrasto con il tipo di narrazione che, fuori dal punto di vista del nostro protagonista, appare decisamente più cupa e cospirazionista. Non aiuta fra l’altro nemmeno a prendere familiarità con una storia con termini e riferimenti russi non proprio immediati per un utente abituato con le sceneggiature prettamente occidentali.

CGCReviews: Atomic Heart 5

COLPO D’OCCHIO

Come all’inizio parlavo della mia preoccupazione riguardo l’aspetto tecnico, Atomic Heart invece poi si è dimostrato un gioco che ha saputo trasformare i limiti produttivi in virtù, facendo un grande lavoro sia a livello di effetti, modelli e soprattutto animazione. L’Unreal Engine 4, come al solito, brilla nei colori più esplosivi, ma è stato studiato bene anche per le parti più buie e macabre del gioco. Discorso animazioni: vedere i robot più grandi muoversi è, senza mezzi termini, uno spettacolo visivo. Soprattutto quelli che presentano sfere roteanti, oppure tentacoli metallici, sono gestiti con una fluidità incredibile.

Qualcosina si nota magari sui particellari o i riflessi, che fanno gridare ancora oggi ad un ray-tracing mancato e che renderebbe grazia ad un sistema d’illuminazione un po’ più indietro rispetto al resto. Il sonoro, oltre al favoloso lavoro della colonna sonora realizzata dal buon Mick Gordon, riesce ad essere incisivo e ben definito, spaziando sia dai rumori taglienti delle armi bianche, sia ai rumori più fantascientifici delle armi più tecnologiche.

CGCReviews: Atomic Heart 6

UN PO’ PIÙ VECCHIO, MA NON ACCORGERSENE

…merito anche di un supporto che ha lavorato tanto in parallelo alla realizzazione dei DLC, aiutando il gioco a scorrere meglio ed essere corretto su tanti bug segnalati durante i primi mesi di vendita. Per me, Atomic Heart, anche se ascrivibile al sottogenere degli immersive-sim, può essere un titolo che parla a tutti proprio per la sua originalità, e sempre per la stessa, può considerarsi anche memorabile. Se di una formula, si conoscono bene gli ingredienti e questi vengono mescolati tra loro nel modo giusto, il risultato finale piace ancora di più, no?

Quando avevo terminato la storia di Atomic Heart, seppur non ci avevo proprio capito tutto-tutto, desideravo tornare in quell’immaginario che, per qualche decina di ore, mi aveva fatto sentire come Alice Nel Paese “Rosso” Delle Meraviglie. Anche se vi potesse sembrare nelle intenzioni qualcosa di già visto o sentito, data la similarità con altri contesti narrativi, non c’è niente di male: Atomic Heart è un FPS coinvolgente che si poggia su solide fondamenta, che promettono un futuro interessante.


8

Voto CGC

Recensione Atomic Heart

Atomic Heart è un FPS coinvolgente che si poggia su solide fondamenta, che promettono un futuro interessante.

La recensione è stata eseguita tramite Codice Review fornito dal Publisher/Sviluppatore/Agenzia PR/Distributore.

Segnala un Errore

Alessandro Da Campo

Recensore di CrazyGameCommunity.it.

ARTICOLI CORRELATI

Pulsante per tornare all'inizio